Gli obiettivi climatici dell’Unione europea sono ambiziosi: le emissioni di gas serra del blocco andranno ridotte del cinquantacinque per cento entro il 2030 e portate allo zero netto vent’anni dopo, con un probabile taglio intermedio del novanta per cento nel 2040. Ma l’industria, che dovrà realizzare nel concreto la transizione ecologica, è rimasta indietro e fatica a reggere la concorrenza degli Stati Uniti (dove i prezzi dell’energia sono molto più bassi) e della Cina (che domina le filiere delle clean tech ed è avvantaggiata dai sussidi statali).
L’obiettivo principale di questa seconda Commissione guidata da Ursula von der Leyen, in carica da dicembre, sembra essere proprio il rafforzamento della competitività industriale, sempre in accordo con l’azione per il clima. La parola chiave, però, non è più «Green deal» ma «Clean, just and competitive transition». Questa enfasi sull’industria è evidente anche dal nome del piano presentato mercoledì per stimolare la decarbonizzazione dei comparti energivori e la manifattura delle tecnologie pulite: il Clean industrial deal.
«L’Europa non è solo un continente di innovazione industriale, ma anche un continente di produzione industriale. Tuttavia, la domanda di prodotti puliti è rallentata e alcuni investimenti si sono spostati in altre regioni», ha ammesso Ursula von der Leyen. Il Net-zero industry act, in vigore dallo scorso giugno, stabilisce che nel 2030 la capacità manifatturiera comunitaria di clean tech dovrà soddisfare almeno il quaranta per cento della domanda annua.
«Delle cinque tecnologie principali della transizione», cioè batterie, veicoli elettrici, turbine eoliche, pannelli solari e pompe di calore, «solo nelle pompe di calore l’Europa è ancora competitiva con la Cina», ha detto Geert Vos, amministratore delegato di Daikin Italia, durante un evento organizzato da Gscc. «Per contrastare efficacemente la deindustrializzazione, la nuova strategia industriale europea deve offrire alle imprese una visione credibile a medio e lungo termine, spostare le tasse dell’elettricità sul gas e incentivare solo i prodotti made in Europe».
In breve, il Clean industrial deal punta a sostenere le imprese attraverso l’abbassamento dei prezzi dell’energia, lo sfrondamento delle norme e l’adozione di requisiti di contenuto locale negli appalti pubblici e privati. Le clean tech di origine europea saranno ulteriormente agevolate attraverso la mobilitazione di cento miliardi di euro per la loro manifattura. Verrà poi rivisto il quadro normativo sugli aiuti di stato ai progetti di decarbonizzazione e ci sarà una semplificazione dei permessi per gli impianti rinnovabili. Secondo Wopke Hoekstra, commissario Ue per il Clima, il Clean industrial deal punta a ridurre le emissioni industriali «fino al trenta per cento».
La Commissione, inoltre, vuole incoraggiare i power purchase agreement – cioè i contratti di compravendita dell’elettricità a lungo termine e a prezzi fissi – con lo scopo di favorire la diffusione delle fonti pulite e nel contempo di “sganciare” le aziende dalle alte quotazioni del gas naturale, sul quale si basano i prezzi dell’energia elettrica. La Banca europea per gli investimenti fornirà delle garanzie alle imprese più piccole e preparerà anche un pacchetto di supporto alle reti elettriche, che dovranno allargarsi e irrobustirsi per gestire la nuova capacità eolica e solare.
Tra le altre iniziative legislative e regolatorie del Clean industrial deal c’è l’aggiornamento delle regole sull’idrogeno low-carbon per garantire maggiori certezze ai produttori in difficoltà. Trattandosi di un combustibile che non emette CO2 quando viene bruciato, ricavabile dall’elettricità pulita o con i sistemi di cattura del carbonio, l’idrogeno è in grado di decarbonizzare i processi non elettrificabili (come il ciclo integrale dell’acciaio); i costi troppo elevati, però, stanno impedendo al mercato di “partire”.
Bruxelles proporrà l’istituzione di una Industrial decarbonisation bank, con una dotazione di cento miliardi di euro provenienti dall’Innovation Fund, più risorse aggiuntive prelevate dall’Ets (il sistema per lo scambio di quote di emissione). Altra novità è l’Eu critical raw material centre, un organismo dedicato all’acquisto congiunto delle materie prime per la transizione energetica, come il litio e il cobalto (e per le quali l’Unione dipende dall’estero).
«Troppi ostacoli si frappongono ancora davanti alle nostre imprese europee, dagli alti prezzi dell’energia agli oneri normativi eccessivi», ha detto Ursula von der Leyen. È notevole – fa notare su X l’avvocato Luca Picotti – che l’attuale Commissione si stia dedicando alla modifica dell’apparato regolatorio introdotto negli anni scorsi, sotto la stessa presidenza: c’entra forse la deregulation spinta da Donald Trump negli Stati Uniti?
E così, accanto al Clean industrial deal, mercoledì la Commissione ha adottato un pacchetto di proposte per la semplificazione burocratica – il cosiddetto “pacchetto Omnibus” – in materia di competitività e di neutralità carbonica. Per esempio, l’ottanta per cento delle imprese verrà portato fuori dall’ambito di applicazione della Csrd, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità, che si concentrerà sulle grandi aziende.
Similmente, le piccole imprese (cioè la maggior parte) saranno esentate dagli obblighi del Cbam, il dazio sulle merci extra-europee ad alta intensità di CO2. La Csddd, la direttiva sulla dovuta diligenza in materia di tutela dell’ambiente e dei diritti umani lungo la filiera, è stata ridimensionata: gli obblighi di verifica della sostenibilità si fermano ai fornitori diretti. Se implementate, le misure del pacchetto Omnibus dovrebbero permettere un risparmio di 6,3 miliardi di euro di costi amministrativi annui.
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