Pergotenda o nuova costruzione? Come qualificare l’opera

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Ancora una sentenza, questa volta della sezione penale della Cassazione, in tema di pergotende. Tale tipologia di intervento edilizio, tradizionalmente inteso come una struttura leggera per la protezione degli spazi esterni, è oggetto di particolare attenzione sia da parte della legislazione che della giurisprudenza, in quanto può facilmente essere confusa con altre opere edilizie, soprattutto quando si tratta di strutture che includono pareti fisse o altri elementi che ne aumentano la permanenza. Diventa quindi cruciale stabilire quando un’opera a servizio di un’attività commerciale sia una pergotenda o una nuova costruzione.

Il caso trattato dalla Cassazione, sezione penale, e definito con la sentenza n. 39596 del 28 ottobre 2024, riguarda un chiosco adibito alla vendita di fiori e piante, situato in zona sismica, che aveva realizzato un deposito retrostante senza i necessari permessi di costruire. Tale deposito, una struttura in pilastri di ferro con pareti laterali rivestite in teli plastificati, è stato oggetto di contestazione, poiché i ricorrenti avevano invocato la qualificazione dell’opera come “pergotenda”, in quanto ritenevano che non fosse necessaria un’autorizzazione edilizia per strutture di tipo temporaneo. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha respinto tale interpretazione, chiarendo che la struttura in questione non poteva essere considerata una pergotenda, poiché creava un nuovo ambiente chiuso, trasformando permanentemente lo spazio libero in un’area coperta ad uso commerciale.

Pergotenda o nuova costruzione? i motivi del ricorso

A difesa della propria posizione, l’imputato denuncia la mancata qualificazione dell’opera da parte dei Giudici come “pergotenda”, attribuendo ciò ad un’erronea applicazione del “criterio funzionale” al posto di quello “strutturale”. Viene contestata la violazione degli articoli 6 e 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché dell’art. 3, comma 1, lettere r) e u), della legge regionale n. 16 del 2016. Inoltre, si deduce l’erronea applicazione degli articoli 3, 10, e 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, facendo riferimento anche alla natura temporanea dell’opera.

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Ancora, contesta l’applicazione errata dell’art. 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, sostenendo che l’intervento realizzato rientra tra quelli indicati dalla circolare della Regione Sicilia (Ufficio del Genio Civile di Trapani, prot. n. 8638 del 20 gennaio 2016, Allegato n. A1, punti 3 e 8). Secondo il ricorrente, per la realizzazione di quest’opera non è necessaria alcuna comunicazione ai competenti uffici, poiché la struttura è precaria e comporta un modesto rischio sismico. A sostegno della propria tesi, anche la Corte d’appello descrive la struttura portante come composta da “pilastrini”, suggerendo la presenza di piccoli pilastri con una struttura esigua e, pertanto, una scarsa consistenza complessiva. Inoltre, la Corte di appello ha dato rilievo all’ancoraggio al suolo tramite bulloni, ma secondo la giurisprudenza consolidata, tale tipo di ancoraggio non implica che la struttura non possa essere facilmente rimossa.

La nozione di pergotenda

La “pergotenda” è una struttura leggera destinata a migliorare la fruizione degli spazi esterni, come terrazzi e giardini, offrendo protezione dal sole e dagli agenti atmosferici. Secondo la giurisprudenza amministrativa e la Corte di cassazione, la pergotenda si distingue per la sua natura temporanea e non invasiva, in quanto la copertura è costituita da teli retrattili, che ne garantiscono la non permanenza. La struttura di supporto, generalmente leggera e di sezione esigua, può essere imbullonata al suolo, ma deve essere facilmente smontabile, senza determinare la creazione di un nuovo volume o superficie stabile. È fondamentale che la tenda, elemento principale della pergotenda, sia realizzata in materiale retrattile, per evitare che l’opera assuma caratteristiche permanenti e venga qualificata come una nuova costruzione.

Pertanto, l’installazione di una pergotenda non deve trasformare il territorio o alterare la volumetria esistente, ma deve limitarsi a migliorare la vivibilità degli spazi esterni, mantenendo un impatto visivo minimo e armonizzandosi con l’architettura circostante.

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La recente normativa, introdotta dal Decreto Legge n. 69/2024 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 105/2024), ha modificato l’art. 6 del D.P.R. 380/2001, includendo tra gli interventi di edilizia libera le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende a pergola, anche bioclimatiche, con telo retrattile o elementi di protezione solare mobili o regolabili (art. 6, lett. b-ter).

Tuttavia, affinché tali opere non siano soggette a regime autorizzatorio, devono rispettare precise condizioni, tra cui il non determinare la creazione di spazi chiusi o la variazione di volumi e superfici, e presentare caratteristiche tecniche ed estetiche tali da ridurre al minimo l’impatto visivo (art. 6, D.P.R. 380/2001). La giurisprudenza, come confermato dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato (sentenze n. 3488/2022 e n. 3393/2021), ribadisce che l’installazione di strutture che modificano in modo permanente l’area circostante, come nel caso di un deposito o ambiente di lavoro, non può essere qualificata come pergotenda, ma come un intervento di nuova costruzione soggetto a permesso di costruire.

Pergotenda o nuova costruzione: la normativa della Regione Sicilia

La Cassazione, inoltre, nel rigettare il ricorso fa anche riferimento alla normativa regionale.

Nelo specifico, la Regione Sicilia, nel recepire gli artt. 6 e 6-bis, D.P.R. 380/2001, ha comunque escluso dal regime dell’edilizia libera le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze non contingenti né temporanee (art. 3, L.R. Sicilia 16/2016, comma 1, lett. u). Nel caso in esame, la struttura non ha l’obiettivo di migliorare la fruizione dello spazio esterno, ma ha creato un nuovo spazio chiuso, trasformando permanentemente l’area, e servendo le necessità di un’attività commerciale. Come sottolineato dalla Corte d’appello, la struttura è stata progettata per risolvere un problema di carenza di spazio nell’ambito dell’attività imprenditoriale.

La natura “non precaria” dell’opera

La precarietà di un’opera non dipende dai materiali usati o dalla sua facile rimozione, ma dalla natura delle esigenze che intende soddisfare. La legge fa esplicito riferimento alle “esigenze temporanee” e “contingenti” per determinare se un’opera possa essere considerata come precaria, ma l’opera deve essere facilmente amovibile. Un manufatto che risulta stabile e permanentemente collegato al terreno non può essere considerato come precario, indipendentemente dalla sua facile rimozione. L’opera che non viene rimossa quando cessano le esigenze temporanee viene considerata una “nuova costruzione” e necessita di un permesso di costruire.

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Se un manufatto, destinato non solo alla protezione dal sole, ma ad un uso stabile come magazzino o ufficio, crea uno spazio chiuso stabile, esso viene qualificato come “nuova costruzione” e necessita di un permesso di costruire. Questo concetto si allinea con la definizione di “interventi di nuova costruzione” fornita dall’art. 3, comma 1, lett. e.5) del D.P.R. n. 380 del 2001, che include anche i manufatti leggeri utilizzati come ambienti di lavoro, a meno che non siano destinati ad esigenze temporanee.



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