Alzi la mano chi non ha giocato almeno una volta nella vita a Monopoly. Ma quanti sanno quando e come è nato? E quanti soldi contiene ogni scatola? (spoiler: 20.580 euro). O che ci sono Paesi che ne vietano la vendita e che, ciononostante, è forse il gioco commerciale più giocato al mondo? Il settore dei giochi da tavolo è in continua crescita e vale oggi in Italia circa 150 milioni di euro, il 10% di tutta la categoria giocattoli (dati Circana). Ad aver dato una spinta importante alle vendite è stata sicuramente la pandemia del 2020 e, in controtendenza «a questo mondo digitale che corre in fretta», «il desiderio di ritagliarsi dei momenti, soprattutto familiari o amicali, di socialità, di convivialità, di esperienza in presenza». A dirlo è Andrea Davide Cuman, sociologo ed esperto di comunicazione, autore del curioso «Atlante dei giochi da tavolo» (Topic 2024), scritto insieme al game designer Cristian Confalonieri con le illustrazioni di Marta Signori. Un po’ guida, un po’ enciclopedia, un po’ almanacco di storia ludico-culturale, il volume racconta i 100 giochi da tavolo più influenti della storia, ne descrive l’origine, le componenti e per ognuno ne indica altri cinque sulla base di un elemento che hanno in comune.
Nell’introduzione alzate subito le mani di fronte alla «domanda delle domande: cos’è un gioco da tavolo?
«Purtroppo è impossibile dare una definizione univoca, perché ci sono giochi da tavolo che non hanno un tavoliere o che non richiedono un tavolo per essere giocati, come i giochi di carta e penna, tipo battaglia navale. E poi ci sono quelli che in realtà sono più giochi di società perché il modo in cui sono organizzati i turni lascia il tempo libero a chi non sta giocando di chiacchierare. Come il Monopoly. Nel mondo del gioco da tavolo poi non si usa il concetto di gioco d’azzardo. Anche se c’è un elemento di fortuna che metto alla prova, il contesto è molto diverso da quello del puro guadagno».
È possibile invece stabilire qual è stato il primo gioco da tavolo?
«Anche qui non è facile stabilire se il primo gioco di cui abbiamo tracce archeologiche sia il gioco reale di Ur (3200 a.C.), quindi di area sumera, oppure il Senet che è un gioco dell’antico Egitto (3000 a.C.). Secondo alcuni studiosi, il filetto – quello che si trova sempre nel retro della dama – è invece uno dei tavolieri più antichi: i due quadrati concentrici tagliati con una croce sono un simbolo che è stato rinvenuto nelle colonne di alcuni siti di preghiera. Esistono poi giochi da tavolo che non lasciano tracce archeologiche, come tutti quelli dell’area africana. Sono i giochi del Mancala (6000 a.C.) ovvero i giochi di semina. Ha presente il Bantumi del Nokia? Pescavi dal contenitore i semi e li depositavi in quelli successivi: il principio è lo stesso, solo che in Africa ci giocavano scavando nelle buche a terra».
Secondo alcune previsioni il settore dei giochi da tavolo potrebbe addirittura raddoppiare il suo valore entro il 2030. Come è cambiato il mercato di questi prodotti?
«Personalmente le grandi fasi di cambiamento le ho viste con l’uscita di Carcassone (2000), di Ticket to ride (2004), di Tikal (1999), cioè con alcuni titoli che hanno popolarizzato il gioco da tavolo, rendendolo più accessibile e dandogli dignità culturale. Almeno da 20 anni quindi c’è un “rinascimento” dei giochi da tavolo e si è creato un mercato che interessa soprattutto Nord Europa, Germania, Stati Uniti e più recentemente anche Italia e Francia. Forse oggi stiamo addirittura raggiungendo un punto di saturazione dell’offerta: ogni anno se ne pubblicano così tanti che si fa sempre più fatica a capire a quale avvicinarsi».
Ci sono altri snodi importanti nella storia contemporanea dei giochi da tavolo?
«Ci sono stati indubbiamente altri picchi: pensa negli anni ’80 ai vari Cluedo, Pictionary, Indomimando. È del 1988 il primo gioco che porta la firma del suo creatore, Alex Randolph (uno dei 13 autori che, come spiega in postfazione Luca Borsa, firmarono su un sottobicchiere di birra l’accordo per cui non avrebbero più concesso giochi a un editore se il loro nome non fosse stato scritto in alto sulla scatola). Un altro picco, più indietro, è stato alla fine della seconda guerra mondiale, dopo la nascita di Monopoly, che ha aperto la strada al gioco da tavolo contemporaneo».
Sono rimasta abbastanza colpita nel leggere dell’origine anticapitalista del Monopoly…
«Sì veramente, ironia della sorte! L’autrice originale è Lizzie Maggie che l’aveva pensato (col nome The Landlord’s Game nel 1903) per educare i bambini a capire come funzionava il capitalismo e quali danni poteva provocare, ovvero che l’accumulo di ricchezza nel singolo provocava la povertà di tutti gli altri. Nelle prime versioni era previsto che gli altri proprietari terrieri potessero unirsi in una specie di cooperativa per far fronte al capitalista. Poi arriva Charles Darrow che (nel 1935) “ruba” l’idea, ci mette il bollino e commercializza il gioco, rendendolo il simbolo del capitalismo. Tant’è che in alcune nazioni, come la Corea e la Cina, non viene venduto».
Altre chicche su origini particolari di qualche gioco da tavolo?
«La tombola nasce come compromesso tra i Borbone e la Chiesa. Il gioco del Lotto era stato inventato a Genova qualche secolo prima e si era diffuso in tutta Italia. Ma sotto i Borbone, in accordo con la Chiesa, si stabilisce che è vietato giocare pubblicamente al gioco del Lotto durante le festività religiose. E così nasce la tombola: la versione domestica del gioco del Lotto. Ma ce ne sono anche altre di genesi interessanti. Dixit, ad esempio, è nato nel 2008 da uno psichiatra infantile francese che aveva l’abitudine di usare durante le sue sedute immagini tratte da riviste».
Qualche settimana fa «la Repubblica» sottolineava che a sostenere le vendite dei board games sono soprattutto i 30-40enni, ribattezzati «kidults».
«Ci sono sicuramente fasi della vita in cui si tende a giocare di più al gioco da tavolo, però è un fenomeno intergenerazionale. Ogni generazione è cresciuta con certi giochi da tavolo e determinati immaginari. I millennials li stanno riscoprendo secondo me, complice anche il fatto che molti hanno figli e quindi diventa uno strumento di apprendimento oltre che un momento lontano dal cellulare. L’aspetto interessante è che ogni generazione cresciuta con certi giochi da tavolo se li porta fino alla vecchiaia e li trasmette alle generazioni successive».
Chiudiamo allora con una personale Top 3 dei giochi da tavolo preferiti.
«In questo momento direi sicuramente: scacchi, Carcassone, che è semplice ma molto divertente, e Saboteur, dove per conquistare l’oro devi capire chi ti sta sabotando».
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