La questione in esame riguarda il diniego all’applicazione degli incentivi per l’assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ex artt. 8 e 25 della Legge n. 223/1991, art. 4 del D.L. n. 148/1993 (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 31 dicembre 2024, n. 35138). L’aspetto interessante della pronuncia della Corte di Cassazione è la indicazione delle ipotesi censurabili ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Il provvedimento di diniego all’applicazione degli incentivi
La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale di Milano che aveva respinto il ricorso presentato per contestare il provvedimento di diniego all’applicazione degli incentivi per l’assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ex artt. 8 e 25 della Legge n. 223/1991, art. 4 del D.L. n. 148/1993, conv. nella Legge n. 236/1993, art. 4 della Legge n. 92/2012.
La società datrice di lavoro sostiene che la Corte di Milano ha ritenuto non sussistenti i requisiti di cui al comma 4-bis dell’articolo di cui sopra come aggiunto dall’art. 2, comma 1-bis, del D.L. n. 299/1994, convertito dalla Legge n. 451/1994.
I motivi vengono considerati inammissibili poiché, dietro lo schermo della violazione di legge, ciò che parte ricorrente, in sostanza, vorrebbe è una nuova valutazione sul merito delle ragioni che hanno portato la Corte a respingere l’appello e le critiche mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (ciò in violazione dei dettami di Cass. SS.UU. n. 34476/2019).
Il beneficio contributivo previsto all’art.8, comma 4, della Legge n. 223/91
Ad ogni modo, il beneficio contributivo previsto all’art.8, comma 4, della Legge n. 223/91 è escluso quando, in base al comma 4-bis della stessa disposizione, i lavoratori siano stati assunti “da parte di impresa dello stesso o diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume, ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo”.
La norma ha riguardo alle ipotesi in cui le diverse società presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, ovverosia tutte le situazioni in cui consti la presenza di un comune nucleo proprietario in grado di ideare ed attuare operazioni coordinate di assunzione e licenziamento del medesimo personale (Cass.9662/2019).
Gli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti
Si è precisato che gli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti sono qualcosa di più e di diverso rispetto al concetto di stessa proprietà, avendo il legislatore volutamente utilizzato una espressione atecnica che facesse riferimento a tutte le ipotesi in cui l’impresa che assumeva non fosse del tutto estranea a quella che aveva licenziato (Cass.8988/2008, Cass.20499/2008).
Deve aggiungersi che non è necessario, ai fini della sostanziale coincidenza di assetti proprietari, che entro le due imprese figurino uno o più soggetti comuni a entrambe. La Cassazione ha dato rilievo anche a legami di coniugio, di parentela, di affinità o finanche di collaudata e consolidata amicizia tra soci (così Cass.20499/2008), tali per cui tra le due imprese si instaurino una collaborazione e un comune agire sul mercato capaci di realizzare un’operazione unitaria e comportante il licenziamento dei dipendenti da una impresa e la loro assunzione da parte dell’altra.
Entrambe le decisioni di merito hanno valorizzato gli stessi elementi di fatto al fine di affermare la presenza di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, ovvero la sovrapposizione degli oggetti sociali, il fatto che la sede legale dell’una società coincidesse con la sede operativa dell’altra, gli assetti proprietari facenti capo al medesimo nucleo familiare.
La violazione degli oneri probatori
La violazione dell’art. 2697 cc può essere utilmente denunciata in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui il Giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di un’incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente assolto l’onere probatorio ad opera della parte su cui tale onere incombe. In questo caso, vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020).
Nel concreto, la Corte non ha ammesso i capitoli di prova ritenendo, con valutazione di merito immune da censure, che avessero ad oggetto circostanze non contestate o già provate documentalmente.
I Giudici di merito non hanno invertito gli oneri probatori e hanno ritenuto che la prova sia stata offerta in modo persuasivo attraverso le risultanze documentali.
Avv. Emanuela Foligno
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